God of War
Le prime divampano sprigionando calore, mentre il secondo lo brama per tornare all’equilibrio. Simile è la presenza di Kratos, nerboruto semidio spartano, nella fredda Midgard, la terra degli uomini raccontata nell’Edda,
in cui l’eroe si è rifugiato per vivere da uomo, dopo un passato da dio
da celare al figlio Atreus. Un passato di vendetta che in molti
ricordano ancora vividamente e che rese l’Olimpo, il monte degli dei, il cimitero degli immortali.
Eravamo inquieti anche noi dopo l’annuncio, poiché ci siamo avvicinati a God of War
con un sentimento contraddittorio di ardente desiderio e glaciale
scetticismo. La memoria di un’eredità forte l’avevamo stampata in testa e
la paura della delusione o l’esaltazione di un grande ritorno si
prospettavano come due soluzioni entrambe ugualmente possibili, ma solo
fino ad aver giocato e veramente finito God of War.
A quel punto non è rimasto alcun dubbio, il Kratos di un tempo aveva trovato la sua collocazione nella nostra storia videoludica, come una vecchia console che trova spazio nella bacheca delle glorie, mentre il nuovo eroe logorato dal tempo aveva saputo vincere la sfida della memoria e dare il là per l’inizio di una grande avventura.
Così con questo seguito diretto, sia difatti chiaro che non si tratta di universi paralleli, what if, o altri particolari espedienti, ci siamo trovati a dover prendere le parti di un Kratos un po’ diverso da come ce lo ricordavamo, nel bel mezzo di un’atipica avventura padre-figlio, confezionata in un gioco action moderno che ha voluto fare dell’eccellenza in ogni singolo elemento produttivo il suo punto di forza.
Aggrappatevi a noi, dunque, perchè il viaggio nei nove regni dell’Yggdrasil è appena incominciato.
Narrativamente parlando tutta la storia di God of War ruota proprio attorno al rapporto tra Kratos e Atreus, due protagonisti tanto simili quanto lontani. Il loro compito è quello di portare le ceneri della moglie e madre sulla cima più alta dei nove regni, per compiere così il suo ultimo volere.
Kratos, severo e scorbutico, è consapevole della propria ira con cui convive quotidianamente, la governa e la domina, e non è più dipendente da essa. Atreus invece, ignaro della propria natura, vive come un giovane ragazzo, dominato dai sentimenti (in particolare dall’ira), ma privo della forza per incanalarli in qualcosa di positivo.
L’aspetto più interessante dell’evoluzione dei personaggi è che Kratos non vive un vero e proprio cambiamento, ma è il giocatore (impersonando Kratos stesso), che passo dopo passo prende consapevolezza della mutata natura del protagonista accettandola e sostituendola con quella passata, mentre Atreus battaglia dopo battaglia va a definire nuovi aspetti del suo carattere. La presa di coscienza nasce dal rapporto oltre che con il figlio anche con gli altri personaggi secondari, non molti ma sicuramente ben inseriti nel tessuto narrativo del gioco.
Ci si mettono circa venti ore abbondanti per giungere alla chiusura del racconto e ai titoli di coda che saranno sì la fine del nostro percorso narrativo, ma il trampolino di lancio per l’esplorazione delle sfide dell’end-game, per altre venti ore abbondanti se non più di gioco.
L’epicità è connaturata al racconto, all’ambientazione e al protagonista, la portata con cui esplode nelle scene cardine è amplificata da una direzione artistica e una realizzazione tecnica incredibili, che impattano in maniera estremamente positiva sui sensi. Ammettiamo che non siano tantissimi numericamente, ma in alcuni momenti God of War ci ha fatto venire la pelle d’oca, lasciandoci andare in sonore esclamazioni di assenso. La violenza non manca, è centrale ma non eccessiva, sempre funzionale a trasformare una scena di un bel gioco d’azione in un altro e godurioso atto di God of War.
La tecnica del racconto poggia sugli stilemi più classici e diffusi nell’attuale panorama ludico. La sceneggiatura avanza senza sosta in ogni singolo momento dell’avventura, passando tra cutscene e gioco, recuperando a gran voce tutta la tradizione mitologica che l’Edda e le leggende orali dei popoli del Nord ci hanno tramandato, e che potete riscoprire in questo articolo dedicato. C’è sempre un’allusione e un contatto evidente con il mito nei suoi tratti più fedeli e quelli per forza di cose creativi. Ovviamente c’è ampio spazio a interessanti variazioni sul tema, dipinte da un protagonista spartano, quasi come un vaso di ceramica laconica che racconta le grandi guerre fra Odino e i giganti.
Purtroppo addentrarsi nella trama non avrebbe molto senso, oltre a esserci proibito, perchè rovinerebbe gran parte dell’esperienza di scoperta di cui è cosparso God of War. Ogni momento ha qualcosa da raccontarci, che in un modo o nell’altro viene contestualizzato nell’universo mitologico norreno, senza mai disperdere l’attenzione del giocatore. Se troviamo un oggetto si discute di esso mentre siamo in barca, se troviamo un altare la descrizione nel codex ci tratteggerà in poche righe il personaggio raffigurato e così attraverso tutti i riferimenti che troveremo durante l’avventura.
Il level-design di God of War è guidato da una riuscita illusione della libertà. I livelli (porzioni di mappa) godono di una struttura che si ispira lontanamente a quella di Bloodborne (per darvi un riferimento noto), tra sezioni lineari e collegamenti circolari, che si riducono spesso, ma non sempre, a scorciatoie prevedibili tra due o più punti molto vicini tra loro. A tenere insieme l’universo di gioco è infatti un hub che opera su due livelli, il grande mare di Midgard che unisce tutta la terra degli uomini e il Bifrost che collega i regni che vivono sull’Yggdrasil. Parlavamo di illusione, perchè sì il giocatore ha l’impressione di essere in un mondo libero, grande, ricco e pieno di distrazione, tanto che capita più di quanto si possa immaginare di sentirsi liberi di scegliere quale strada intraprendere, ma una volta avventurati su un percorso, non c’è modo di perdersi in corsa o deviare più di tanto da questo. Un esempio sarà di sicuro più chiarificatore. Se avete davanti a voi due strade in God of War, la prima sarà la principale, la seconda ricondurrà sempre alla prima, ma entrambe hanno un forziere, un altare o un po’ di argento per giustificare la deviazione: un design semplice, ma fin dai primi meccanismi sfruttato per essere goduto al 100%.
E’ sempre lecito concedersi un po’ di avventura per i cunicoli che portano ad affrontare una nuova missione secondaria, evitando di precipitarsi troppo per raggiungere i titoli di coda, ma una volta iniziata, per quanto lunga, il suo esaurimento andrà sempre dal punto A al punto B. Precisiamo fin da subito che questo non è assolutamente un problema per il gioco. Questa illusione riesce a ingannare amorevolmente il giocatore, ma allo stesso tempo lo porta a concentrarsi senza sosta su una successione incessante di combattimenti e puzzle, le due diverse anime di God of War, che nel loro diverso ritmo riescono a non far perdere mai mordente al titolo.
Se infatti i puzzle, principalmente di carattere ambientale, e,in alcuni casi vagamente riconducibili alla struttura classica dei metroidvania, sono molto semplici e gratificanti, dove l’anima del gioco trova compimento è nel combat-system.
Il sistema di combattimento è fatto di colpi violenti, pesanti, che fanno vibrare in aria l’ascia Leviatano che con la sua anima di ghiaccio è l’incubo di draugr, giganti, redivive e chi più ne ha più ne metta. Il ritmo dei fendenti è veloce ma definito, con colpi leggeri che si alternano a quelli pesanti in una danza di morte senza fine, molto più vicino al passato di quanto ci si possa immaginare. La visuale in terza persona alle spalle riduce l’angolo di visione ma rende gli scontri più personali, avvicina il giocatore al punto di vista di Kratos, non rallenta o appesantisce più del dovuto. L’arma poi, per quanto estensione del semidio, può separarsi in qualunque momento da lui e da lì in poi pugni e calci diventano una valida alternativa in attesa dell’attimo perfetto per ricongiungersi ad essa. Ogni colpo può sia indebolire la vita degli avversari sia aumentare il loro livello di stordimento, riempita la cui barra si apre l’opzione per eseguire un’esecuzione terminale contro i nemici più deboli o comunque molto debilitante per quelli più forti. Oltre a ciò non mancano quicktime events per rendere cinematografici scontri che nascono sempre da lunghi ed estenuanti combattimenti.
Le combo si formano con i colpi di base a cui si aggiungono i potenziamenti sbloccati nell’albero delle abilità con l’esperienza e le rune trovate nei forzieri sparsi per il mondo di gioco. Se ne possono equipaggiare due per l’arma e ognuna rappresenta un attacco runico speciale con cooldown, classificata in base al tipo di colpo, alla quantità di danno, al danno da ghiaccio e allo stordimento che infliggono. Parata e schivata sono necessarie per contrattaccare ed evitare gli attacchi degli avversari, divisi in due tipologie: parabili e non. Quest’ultimo è assolutamente da schivare perchè infligge danni indipendentemente che la guardia sia alzata o meno. A chiudere il corredo dell’equipaggiamento dell’arma troviamo il talismano, che concede un’abilità passiva e una attiva aggiuntive.
Gli attacchi runici bloccano in larga parte l’azione offensiva dei nemici, ma lasciano Kratos in balia dei loro colpi già in esecuzione. Soprattutto contro i nemici più forti è necessario sapere quando utilizzarli. Un ulteriore livello di personalizzazione è garantito dall’armatura, che potenzia in maniera diversa le statistiche di Kratos a seconda delle sue caratteristiche intrinseche. Esse sono definite dal livello, dal numero di castoni disponibili in cui inserire gli incantesimi (anch’essi dalle stesse caratteristiche dell’armatura), e dalla rarità dei pezzi, da comune a leggendario. Anche i pezzi delle armature possono avere della abilità passive, che possono davvero influire sulla battaglia, come la ricarica costante di un po’ di vita. Alcune armature si trovano nei regni del gioco, ma molte si devono craftare e poi potenziare dai fabbri con l’argento e i materiali raccolti durante l’avventura.
Aumentare la difficoltà fino al terzo gradino significa sia potenziare il danno subito sia rendere più serrato l’attacco dei nemici, che arrivano anche a schivare o parare con più attenzione. Essi diventano in grado di attuare le mosse di evasione che altrimenti non avrebbero effettuato. In questo senso i boss, non tantissimi e meno giganteschi di quanto molti potrebbero desiderare sono davvero soddisfacenti da sconfiggere, hanno pattern di attacco precisi che richiedono uno studio attento per essere affrontati, soprattutto quelli dell’end-game. Esistono infatti solo una o due manovre evasive per rimanere incolumi a determinate sequenze di attacco (qualcuno ha detto souls?). I nemici più comuni invece, hanno un buon livello di varietà, con determinati archetipi che si declinano in diverse varianti, come attacco a distanza, con doppie spade, con scudo, volanti e non.
Se pensavate di essere già soddisfatti, sappiate che non abbiamo ancora nemmeno preso in considerazione il piccolo Atreus. La sua indipendenza in battaglia è sorprendente, può attaccare, stordire, aiutare Kratos, e attirare l’attenzione dei nemici più pericolosi. L’unico potere realmente in nostro possesso però è quello di utilizzare le sue frecce per colpire a nostro piacimento il nemico. Esse possono essere davvero utili, visto che arrivano a infliggere stordimento o status negativi. Il suo potenziamento avviene nella stessa maniera in cui vengono migliorate le abilità di Kratos. Vale lo stesso per l’armatura e per l’abilità speciale. E’ un jolly nei momenti difficili e concede un attimo di tregua quando davvero sembra non esserci più speranza.
Ritornando alle atmosfere del gioco, la mitologia norrena offre una varietà incredibile che si riversa nelle ambientazioni di un God of War artisticamente ispirato. Invece di limitare la portata fantastica propria delle leggende nordiche, i ragazzi di Santa Monica Studios hanno abbracciato questa vena, rendendo il gioco quanto possibile vicino a una reimmaginazione assai compatibile con le descrizioni leggendarie dei personaggi presenti, anche se con una chiave di lettura decisamente più moderna rispetto alle illustrazioni dei manoscritti del tempo.
Il lavoro fin qui è eccelso, l’immersività pure, tanto che l’impressione è sempre quella di avere a che fare con un mondo credibile e omogeneo nelle sue numerose sfaccettature. Non facciamo distinzione fra sonoro e visivo, dato che nonostante le tracce non siano di per sé memorabili, la contestualizzazione dei pezzi nelle varie scene è sicuramente degna di nota. Il doppiaggio è un’altra nota di colore positiva in un quadro roseo, ben sincronizzato in tutte le scene, e assolutamente lodevole nel panorama italiano. Sul fronte tecnico, poi, provato sia su PS4 sia su PS4 Pro, God of War raggiunge l’attuale stato dell’arte, mancando solo nell’unico limite del gioco, ovvero l’interazione libera con l’ambiente. Escluso il salto libero (un po’ si sente la mancanza ma ci si fa l’abitudine), compresi i limiti delle mappe già anticipati, c’è ben poco da lamentare a un gioco con questi meriti. Dettaglio, pulizia dell’immagine, illuminazione, animazioni, insomma, lamentarsi del motore di gioco di God of War non è un’opzione.
Su PS4 Pro si può scegliere se prediligere una grafica spinta al 4k con tecnologia di checkerboard rendering oppure la fluidità con una risoluzione 1080p, decisamente più reattiva anche se non per forza ancorata ai 60fps. Su PS4 invece il framerate è sostanzialmente solido sui 30fps, pur lasciando talvolta spazio a piccoli fenomeni di rallentamento.
A quel punto non è rimasto alcun dubbio, il Kratos di un tempo aveva trovato la sua collocazione nella nostra storia videoludica, come una vecchia console che trova spazio nella bacheca delle glorie, mentre il nuovo eroe logorato dal tempo aveva saputo vincere la sfida della memoria e dare il là per l’inizio di una grande avventura.
Così con questo seguito diretto, sia difatti chiaro che non si tratta di universi paralleli, what if, o altri particolari espedienti, ci siamo trovati a dover prendere le parti di un Kratos un po’ diverso da come ce lo ricordavamo, nel bel mezzo di un’atipica avventura padre-figlio, confezionata in un gioco action moderno che ha voluto fare dell’eccellenza in ogni singolo elemento produttivo il suo punto di forza.
Aggrappatevi a noi, dunque, perchè il viaggio nei nove regni dell’Yggdrasil è appena incominciato.
Narrativamente parlando tutta la storia di God of War ruota proprio attorno al rapporto tra Kratos e Atreus, due protagonisti tanto simili quanto lontani. Il loro compito è quello di portare le ceneri della moglie e madre sulla cima più alta dei nove regni, per compiere così il suo ultimo volere.
Kratos, severo e scorbutico, è consapevole della propria ira con cui convive quotidianamente, la governa e la domina, e non è più dipendente da essa. Atreus invece, ignaro della propria natura, vive come un giovane ragazzo, dominato dai sentimenti (in particolare dall’ira), ma privo della forza per incanalarli in qualcosa di positivo.
L’aspetto più interessante dell’evoluzione dei personaggi è che Kratos non vive un vero e proprio cambiamento, ma è il giocatore (impersonando Kratos stesso), che passo dopo passo prende consapevolezza della mutata natura del protagonista accettandola e sostituendola con quella passata, mentre Atreus battaglia dopo battaglia va a definire nuovi aspetti del suo carattere. La presa di coscienza nasce dal rapporto oltre che con il figlio anche con gli altri personaggi secondari, non molti ma sicuramente ben inseriti nel tessuto narrativo del gioco.
Ci si mettono circa venti ore abbondanti per giungere alla chiusura del racconto e ai titoli di coda che saranno sì la fine del nostro percorso narrativo, ma il trampolino di lancio per l’esplorazione delle sfide dell’end-game, per altre venti ore abbondanti se non più di gioco.
L’epicità è connaturata al racconto, all’ambientazione e al protagonista, la portata con cui esplode nelle scene cardine è amplificata da una direzione artistica e una realizzazione tecnica incredibili, che impattano in maniera estremamente positiva sui sensi. Ammettiamo che non siano tantissimi numericamente, ma in alcuni momenti God of War ci ha fatto venire la pelle d’oca, lasciandoci andare in sonore esclamazioni di assenso. La violenza non manca, è centrale ma non eccessiva, sempre funzionale a trasformare una scena di un bel gioco d’azione in un altro e godurioso atto di God of War.
La tecnica del racconto poggia sugli stilemi più classici e diffusi nell’attuale panorama ludico. La sceneggiatura avanza senza sosta in ogni singolo momento dell’avventura, passando tra cutscene e gioco, recuperando a gran voce tutta la tradizione mitologica che l’Edda e le leggende orali dei popoli del Nord ci hanno tramandato, e che potete riscoprire in questo articolo dedicato. C’è sempre un’allusione e un contatto evidente con il mito nei suoi tratti più fedeli e quelli per forza di cose creativi. Ovviamente c’è ampio spazio a interessanti variazioni sul tema, dipinte da un protagonista spartano, quasi come un vaso di ceramica laconica che racconta le grandi guerre fra Odino e i giganti.
Purtroppo addentrarsi nella trama non avrebbe molto senso, oltre a esserci proibito, perchè rovinerebbe gran parte dell’esperienza di scoperta di cui è cosparso God of War. Ogni momento ha qualcosa da raccontarci, che in un modo o nell’altro viene contestualizzato nell’universo mitologico norreno, senza mai disperdere l’attenzione del giocatore. Se troviamo un oggetto si discute di esso mentre siamo in barca, se troviamo un altare la descrizione nel codex ci tratteggerà in poche righe il personaggio raffigurato e così attraverso tutti i riferimenti che troveremo durante l’avventura.
Il level-design di God of War è guidato da una riuscita illusione della libertà. I livelli (porzioni di mappa) godono di una struttura che si ispira lontanamente a quella di Bloodborne (per darvi un riferimento noto), tra sezioni lineari e collegamenti circolari, che si riducono spesso, ma non sempre, a scorciatoie prevedibili tra due o più punti molto vicini tra loro. A tenere insieme l’universo di gioco è infatti un hub che opera su due livelli, il grande mare di Midgard che unisce tutta la terra degli uomini e il Bifrost che collega i regni che vivono sull’Yggdrasil. Parlavamo di illusione, perchè sì il giocatore ha l’impressione di essere in un mondo libero, grande, ricco e pieno di distrazione, tanto che capita più di quanto si possa immaginare di sentirsi liberi di scegliere quale strada intraprendere, ma una volta avventurati su un percorso, non c’è modo di perdersi in corsa o deviare più di tanto da questo. Un esempio sarà di sicuro più chiarificatore. Se avete davanti a voi due strade in God of War, la prima sarà la principale, la seconda ricondurrà sempre alla prima, ma entrambe hanno un forziere, un altare o un po’ di argento per giustificare la deviazione: un design semplice, ma fin dai primi meccanismi sfruttato per essere goduto al 100%.
E’ sempre lecito concedersi un po’ di avventura per i cunicoli che portano ad affrontare una nuova missione secondaria, evitando di precipitarsi troppo per raggiungere i titoli di coda, ma una volta iniziata, per quanto lunga, il suo esaurimento andrà sempre dal punto A al punto B. Precisiamo fin da subito che questo non è assolutamente un problema per il gioco. Questa illusione riesce a ingannare amorevolmente il giocatore, ma allo stesso tempo lo porta a concentrarsi senza sosta su una successione incessante di combattimenti e puzzle, le due diverse anime di God of War, che nel loro diverso ritmo riescono a non far perdere mai mordente al titolo.
Se infatti i puzzle, principalmente di carattere ambientale, e,in alcuni casi vagamente riconducibili alla struttura classica dei metroidvania, sono molto semplici e gratificanti, dove l’anima del gioco trova compimento è nel combat-system.
Il sistema di combattimento è fatto di colpi violenti, pesanti, che fanno vibrare in aria l’ascia Leviatano che con la sua anima di ghiaccio è l’incubo di draugr, giganti, redivive e chi più ne ha più ne metta. Il ritmo dei fendenti è veloce ma definito, con colpi leggeri che si alternano a quelli pesanti in una danza di morte senza fine, molto più vicino al passato di quanto ci si possa immaginare. La visuale in terza persona alle spalle riduce l’angolo di visione ma rende gli scontri più personali, avvicina il giocatore al punto di vista di Kratos, non rallenta o appesantisce più del dovuto. L’arma poi, per quanto estensione del semidio, può separarsi in qualunque momento da lui e da lì in poi pugni e calci diventano una valida alternativa in attesa dell’attimo perfetto per ricongiungersi ad essa. Ogni colpo può sia indebolire la vita degli avversari sia aumentare il loro livello di stordimento, riempita la cui barra si apre l’opzione per eseguire un’esecuzione terminale contro i nemici più deboli o comunque molto debilitante per quelli più forti. Oltre a ciò non mancano quicktime events per rendere cinematografici scontri che nascono sempre da lunghi ed estenuanti combattimenti.
Le combo si formano con i colpi di base a cui si aggiungono i potenziamenti sbloccati nell’albero delle abilità con l’esperienza e le rune trovate nei forzieri sparsi per il mondo di gioco. Se ne possono equipaggiare due per l’arma e ognuna rappresenta un attacco runico speciale con cooldown, classificata in base al tipo di colpo, alla quantità di danno, al danno da ghiaccio e allo stordimento che infliggono. Parata e schivata sono necessarie per contrattaccare ed evitare gli attacchi degli avversari, divisi in due tipologie: parabili e non. Quest’ultimo è assolutamente da schivare perchè infligge danni indipendentemente che la guardia sia alzata o meno. A chiudere il corredo dell’equipaggiamento dell’arma troviamo il talismano, che concede un’abilità passiva e una attiva aggiuntive.
Gli attacchi runici bloccano in larga parte l’azione offensiva dei nemici, ma lasciano Kratos in balia dei loro colpi già in esecuzione. Soprattutto contro i nemici più forti è necessario sapere quando utilizzarli. Un ulteriore livello di personalizzazione è garantito dall’armatura, che potenzia in maniera diversa le statistiche di Kratos a seconda delle sue caratteristiche intrinseche. Esse sono definite dal livello, dal numero di castoni disponibili in cui inserire gli incantesimi (anch’essi dalle stesse caratteristiche dell’armatura), e dalla rarità dei pezzi, da comune a leggendario. Anche i pezzi delle armature possono avere della abilità passive, che possono davvero influire sulla battaglia, come la ricarica costante di un po’ di vita. Alcune armature si trovano nei regni del gioco, ma molte si devono craftare e poi potenziare dai fabbri con l’argento e i materiali raccolti durante l’avventura.
Kratos ha diverse statistiche (difesa, forza, vitalità, runico, fortuna e ricarica.) che variano in base all’armatura, e sono riassunte da un livello numerico che sale all’aumentare del livello dei ciascuna componente.La progressione nella crescita del personaggio è garantita da un sistema che permette di sbloccare le abilità solo una volta raggiunto il relativo livello con l’arma e possono diventare più forti raggiungendo determinate statistiche del personaggio . E’ abbastanza facile completare tutto il quadro al 100%, ma ciò non vuol dire che una volta finita la pratica sia semplice affrontare i combattimenti, anzi, consideratela semplicemente come la base necessaria per avere tutti gli strumenti per affrontare i nemici di livello crescente. Man mano che si avanza hanno pattern di attacco sempre più complessi da contrastare, poichè alternano con proporzionale insistenza il proprio ventaglio di aggressioni.
Aumentare la difficoltà fino al terzo gradino significa sia potenziare il danno subito sia rendere più serrato l’attacco dei nemici, che arrivano anche a schivare o parare con più attenzione. Essi diventano in grado di attuare le mosse di evasione che altrimenti non avrebbero effettuato. In questo senso i boss, non tantissimi e meno giganteschi di quanto molti potrebbero desiderare sono davvero soddisfacenti da sconfiggere, hanno pattern di attacco precisi che richiedono uno studio attento per essere affrontati, soprattutto quelli dell’end-game. Esistono infatti solo una o due manovre evasive per rimanere incolumi a determinate sequenze di attacco (qualcuno ha detto souls?). I nemici più comuni invece, hanno un buon livello di varietà, con determinati archetipi che si declinano in diverse varianti, come attacco a distanza, con doppie spade, con scudo, volanti e non.
Se pensavate di essere già soddisfatti, sappiate che non abbiamo ancora nemmeno preso in considerazione il piccolo Atreus. La sua indipendenza in battaglia è sorprendente, può attaccare, stordire, aiutare Kratos, e attirare l’attenzione dei nemici più pericolosi. L’unico potere realmente in nostro possesso però è quello di utilizzare le sue frecce per colpire a nostro piacimento il nemico. Esse possono essere davvero utili, visto che arrivano a infliggere stordimento o status negativi. Il suo potenziamento avviene nella stessa maniera in cui vengono migliorate le abilità di Kratos. Vale lo stesso per l’armatura e per l’abilità speciale. E’ un jolly nei momenti difficili e concede un attimo di tregua quando davvero sembra non esserci più speranza.
Ritornando alle atmosfere del gioco, la mitologia norrena offre una varietà incredibile che si riversa nelle ambientazioni di un God of War artisticamente ispirato. Invece di limitare la portata fantastica propria delle leggende nordiche, i ragazzi di Santa Monica Studios hanno abbracciato questa vena, rendendo il gioco quanto possibile vicino a una reimmaginazione assai compatibile con le descrizioni leggendarie dei personaggi presenti, anche se con una chiave di lettura decisamente più moderna rispetto alle illustrazioni dei manoscritti del tempo.
Il lavoro fin qui è eccelso, l’immersività pure, tanto che l’impressione è sempre quella di avere a che fare con un mondo credibile e omogeneo nelle sue numerose sfaccettature. Non facciamo distinzione fra sonoro e visivo, dato che nonostante le tracce non siano di per sé memorabili, la contestualizzazione dei pezzi nelle varie scene è sicuramente degna di nota. Il doppiaggio è un’altra nota di colore positiva in un quadro roseo, ben sincronizzato in tutte le scene, e assolutamente lodevole nel panorama italiano. Sul fronte tecnico, poi, provato sia su PS4 sia su PS4 Pro, God of War raggiunge l’attuale stato dell’arte, mancando solo nell’unico limite del gioco, ovvero l’interazione libera con l’ambiente. Escluso il salto libero (un po’ si sente la mancanza ma ci si fa l’abitudine), compresi i limiti delle mappe già anticipati, c’è ben poco da lamentare a un gioco con questi meriti. Dettaglio, pulizia dell’immagine, illuminazione, animazioni, insomma, lamentarsi del motore di gioco di God of War non è un’opzione.
Su PS4 Pro si può scegliere se prediligere una grafica spinta al 4k con tecnologia di checkerboard rendering oppure la fluidità con una risoluzione 1080p, decisamente più reattiva anche se non per forza ancorata ai 60fps. Su PS4 invece il framerate è sostanzialmente solido sui 30fps, pur lasciando talvolta spazio a piccoli fenomeni di rallentamento.
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