Resident Evil 7
Dopo gli ultimi due controversi capitoli della serie principale, di Resident Evil
era solo rimasto il ricordo nostalgico e dorato di un passato
irripetibile, che probabilmente non sarebbe tornato mai più. Le vecchie
promesse infrante da Capcom, in pieno stato confusionale e incapace di
reindirizzare la saga sui giusti binari dopo l’abbandono di Mikami,
avevano dato a tutti la percezione che della saga fosse ormai rimasto
solo il nome: un nome altisonante ormai sfigurato dal cambio di genere,
dalla qualità altalenante delle opere e dalle presunte necessità di
mercato che non sono mai davvero coincise con quelle dei fan. “Torneremo
alle origini” è una tiritera che ha accompagnato le fasi promozionali
di ogni nuovo capitolo, ma è sempre stata, in fin dei conti, una frase
mai aderente alla realtà dei fatti. Con Resident Evil 7 Capcom
ha invece fatto centro, restaurando i valori primigeni della serie,
adattando i concetti di base degli esordi alla visuale in prima persona e
ritornando – stavolta sul serio – alle proprie radici.
Benvenuto in famiglia, figliolo
Sebbene non manchino riferimenti palesi e velati ad alcuni personaggi e vicende specifiche della saga, Resident Evil 7
narra una storia in grado di stare in piedi da sola. Abbandonate le
velleità superomistiche di protagonisti addestrati per essere delle
macchine da guerra, questo nuovo capitolo segue le vicenda di Ethan
Winters, un uomo comune alla ricerca di sua moglie Mia, ritenuta
scomparsa da tre anni. Nonostante l’incipit ricalchi quello di Silent Hill 2, Resident Evil 7
ne prende immediatamente le distanze, costruendo una trama ben
articolata, capace di svincolarsi agilmente dai cliché paventati durante
le prime sommarie analisi e presentando in ultima battuta una
sceneggiatura matura, efficace e in pieno stile Resident Evil. In tal
senso, la scrittura di Richard Pearsey (già al lavoro su F.E.A.R. e Spec Ops: The Line)
è un valore aggiunto non indifferente, soprattutto quando nella seconda
parte vengono sviluppati tutti i punti più di rilievo e si chiude
quella che è idealmente una narrazione circolare, ordinata e convogliata
in una direzione chiara e univoca. Arriverete a Dulvey, località
fittizia della Louisiana, dove dopo un viaggio in auto vi ritroverete
davanti a una villa imponente, immersa in un silenzio spettrale che non
lascia presagire niente di buono.
La volontà di dare a Resident Evil 7
un’identità forte e decisa passa anche per la scelta di cambiare la
prospettiva del giocatore, offrendogli un maggiore senso
d’immedesimazione. Ebbene, sappiate che questa scelta funziona alla
grande, perché grazie ai ritmi compassati, al sistema di
combattimento tutt’altro che frenetico e un design dei livelli attento e
metodico, la sensazione è esattamente quella di giocare a uno dei
capitoli classici da un punto di vista differente. Camminare lungo
corridoi silenziosi, stanze fatiscenti, tra la mobilia che pare
osservarvi irrequieta e con la minaccia continua, pressante dei
componenti della famiglia Baker, significa abbracciare i vecchi ricordi
mentre se ne creano di nuovi. Resident Evil 7 è pronto a
diventare un nuovo classico, a rigettare gli stilemi sghembi degli
ultimi due capitoli e a puntare tutto su una prepotente ripartenza.
Capcom ha ripensato la serie nel modo giusto, evitando oltretutto di
emulare altri esponenti del genere, con cui condivide di fatto solo la
visuale. Prima ancora di essere un vero survival horror, lo ribadiamo,
questo settimo capitolo è tutto ciò che ogni estimatore della serie ha
sempre apprezzato.
I am Evil
Capcom
è stata molto accorta nel ripristinare gli equilibri che hanno
decretato negli anni il successo del franchise e a reintrodurre gli
elementi distintivi della serie, modernizzando un sistema di gioco
invecchiato male, che oggi apparirebbe impacciato e poco immediato. La
struttura dei livelli è classica, suddivisa in macroaree al chiuso
collegate tra di loro in modo intelligente e intuitivo. Sarebbe più
corretto dire che il gioco è ambientato non tanto nella dimora dei
Baker, ma nell’intera tenuta, con una parte finale che cambia
d’improvviso le carte in tavola per spiegare al meglio l’origine
dell’incubo che state vivendo.
Benché non manchi il senso di déjà vu in alcuni frangenti, Resident Evil 7
risulta essere un rinnovamento intelligente, capace di rinverdire i
fasti della serie. Ve ne accorgerete già nel momento in cui
oltrepasserete le porte del salone principale suddiviso in due piani,
con puzzle da risolvere, chiavi specifiche che aprono determinate porte e
oggetti senza i quali non è possibile proseguire. Il backtracking non
pesa mai ed è ben congegnato, soprattutto grazie gli eventi inaspettati
che vi coglieranno d’improvviso, come il braccaggio di uno dei membri
della famiglia che vuole farvi fuori, rallentando il vostro incedere e
costringendovi spesso a uno scontro diretto che si presenta a più
riprese e in maniera diversificata. Non aspettatevi però un’esperienza mordi e fuggi, dove è sempre necessario nascondersi e scappare, perché Resident Evil 7 non
è niente di tutto ciò: ci si difende, si combatte come nella prima
trilogia, bisogna affrontare boss e mostruosità assortite e si deve
sopravvivere gestendo al meglio le proprie risorse. Il sistema
d’inventario consente di equipaggiare fino a quattro armi
contemporaneamente (da assegnare ai quattro tasti direzionali), di
combinare gli oggetti per ottenerne altri e di analizzarli quando se ne
presenta la necessità. È possibile controllare lo stato della salute
tramite un comodo dispositivo da polso, ci si può curare in tempo reale
usando il tasto adibito, è possibile pararsi con le braccia per attutire
i colpi e ricevere meno danni, e in generale sono state snellite delle
operazione che oggi, francamente, apparirebbero inutilmente macchinose.
Nostalgia canaglia
Gli
ambienti di gioco sono punteggiati di zone franche in cui, come in
passato, c’è ad accogliervi un baule per depositare gli oggetti e un
succedaneo della vecchia macchina da scrivere, qui rappresentato da un
mangianastri. È tuttavia presente un sistema di salvataggio automatico
che vi fa continuare dai checkpoint, facilitando un’impresa già non
titanica e tutto sommato accessibile per chiunque, anche per quanto
riguarda gli enigmi. Discorso differente, invece, quando sbloccherete
la modalità manicomio, meno permissiva e in grado di regalare agli
appassionati la vera esperienza da Resident Evil che si aspettano:
qui i salvataggi sono limitati e bisogna raccogliere i nastri per
mettere al sicuro i progressi, i nemici sono più tenaci, la vostra
resistenza ai colpi è più bassa, appaiono sin da subito degli avversari
che in modalità normale spuntano nelle fasi avanzate e, soprattutto, ci
sono alcune diversificazioni che vi costringeranno ad affrontare
l’avventura in modo leggermente diverso. A fronte delle circa 10-13 ore
molto intense che impiegherete per completare il gioco la prima volta,
c’è dunque una buona rigiocabilità, soprattutto per i veterani e per chi
del gioco vuole scoprire ogni più recondito segreto.
Artisticamente il lavoro svolto su Resident Evil 7 è
davvero encomiabile, con personaggi che funzionano molto bene, un
monster design che nulla ha da invidiare a quello degli esordi e una
creazione dell’atmosfera davvero degna di nota. Per lunghi tratti, e in
particolar modo in alcuni momenti specifici dell’avventura, vi sentirete
realmente oppressi, braccati dal male soverchiante che ha infestato
quell’angolo sperduto d’inferno.
Tecnicamente siamo su buoni
livelli: il RE Engine non tentenna mai, anche grazie alle ambientazioni
generalmente molto chiuse e più semplici da gestire. L’unico vero
appunto può essere fatto alle texture, talvolta in bassa definizione o
che si aggiornano in ritardo. Al di là di sbavature tutto sommato
trascurabili, rimane ben poco da criticare di Resident Evil 7, che
rappresenta a tutti gli effetti un punto di rottura col recente passato
fatto di confusione e occasioni mancate. Possiamo finalmente dirlo:
Resident Evil 7 è un nuovo brillante inizio per una serie che adesso sa
davvero da dove poter ripartire.
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